Emma, alle porte della solitudine silloge

Silloge Emma,alle  porte della solitudine

 

Giovanna Fracassi introduzione alla silloge Emma Alle porte della solitudine.

 

 

 

Emma è un nome di fantasia, ma non è immaginaria la donna alla quale è dedicata questa mia nuova silloge. Si tratta di mia madre che mi ha lasciato ormai da anni .Purtroppo ancora prima, la malattia dell’Alzheimer me l’aveva irrimediabilmente allontanata, rinchiudendola in quella solitudine, alle soglie della quale, io sono rimasta e che ha fatto da contraltare a quella mia di figlia impotente. Perché ci sono assenze, ci sono abbandoni che non possono essere consolati e meno che mai colmati.
Emma è una raccolta di poesie in cui tornano i temi a me cari estesi a tutti quei momenti della vita di una persona nei quali si fa più acuta la consapevolezza della ineludibile e sostanziale solitudine dell’essere umano , attraversata da brevi momenti di condivisione e di appartenenza con altre anime in viaggio in questa vita meravigliosa ma a termine.
Ecco quindi che la solitudine di mia madre diventa l’emblema di ogni solitudine: quella conseguente alla perdita dei propri cari, degli amici, dell’amore , della fede, della speranza quando tutto sembra sia perduto. Ma ancora una volta la mia visione della vita si apre al fine ultimo che sempre muove l’animo umano: l’anelito all ’infinito. Questo è ciò che può dare senso pure al dolore, alla mancanza, all ’assenza e all’ attesa.
Perché ognuno sa e deve credere di appartenere al flusso del divenire dell’universo, a quel moto perenne in cui nulla va perduto per sempre, ma ogni particella di ciò che siamo, siamo stati, e tutto ciò che abbiamo provato, pensato, le lotte per i nostri ideali, le nostre gioie e le nostre infelicità contribuiscono, come tante particelle, a perpetuare il meraviglioso miracolo della vita. Nessuno di noi nasce invano, ciascuno ha un suo compito da assolvere per sé, per gli altri, per l’universo di cui fa parte: vivere e vivere in piena consapevolezza. E i momenti in cui ciò si manifesta ed è percepibile in modo netto, sono quelli connotati dalla sofferenza, dalla pietà, dall ’empatia. Attraverso questi è possibile giungere alla gioia, alla felicità di essere e sentirsi vivi e appartenenti a un tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 Alessia Mocci Recensione Emma Alle porte della solitudine

 

 

“L’aria è cenere bagnata/ mentre le stelle/ si sono fatte liquide/ e fresca linfa risplende/ quando le nuvole si sono distese/ a riposare nella quiete del vento// ancora io cammino/ per accarezzare il profumo/ dei fiori d’acacia/ dolce stordimento dell’anima// e fingere per un attimo/ un attimo ancora/ che il cuore si sciolga/ in questa notte tiepida d’attesa.”

Un Attimo e l’aria ricorda la cenere bagnata. La cenere del tempo che fu firmato con il sangue del verso. Immagini inesistenti di un’amante cortese e devota alla Natura. L’aria è cenere, le stelle diventano liquide, il caos della materia è contrapposto alla quiete del vento e del profumo dell’acacia. L’attimo è la speranza di poter sentire il cuore ancor pulsante d’amore sotto il ghiaccio del passato.

La donna, che soavemente partecipa dell’emozione, è in uno stato mentale di vicinanza con gli elementi naturali del Mondo. Salici, gigli, papaveri, fiordalisi divengono una porta verso l’infinito appagamento del suo essere. Una serenità eterna che vaga alla ricerca di risposte alle domande dell’accaduto, alle richieste di un presente insaziabile.

Equamente contrapposta alla riservatezza dell’amore è il mondo dell’essere immondo che, senza tana, vaga nel vomito di fuoco e petrolio per dissetarsi delle lacrime, della paura e della speranza. La cenere diviene sinonimo di morte ed angoscia, non lascia scampo per chi si è perduto.

“Il mondo vomita/ larve di fuoco/ e nel cielo di petrolio/ cirri di denso vapore mefitico/ si rincorrono minacciosi// Non v’è tana per l’essere immondo/ che striscia sul pendio dell’universo// Infaticabile e caparbio/ setaccia/ lo spirito libero/ ogni scheggia di granito/ intrisa di sangue sacrificale// sprofonda in ogni lago melmoso/ di abbandono e di rinuncia// si disseta d’ogni lacrima/ che trasuda paura e inutile speranza/ penetra nel suolo molle di dolore rarefatto/ fruga fra le radici fradice di urla spente/ incendia ogni briciola di nero orgoglio// E le ceneri di chi s’è perduto/ si sciolgono nel mare scuro d’angoscia// Agonia dell‘infinito.”

La donna, l’io poetico, racconta di un tempo in cui il sogno sovrastava la realtà, di un tempo nel quale, dispersa nella nebbia, incontrò un viandante con il quale s’incamminò. Le immagini vaghe e concrete si materializzano alle porte della solitudine nelle quali è presente una luce che rischiara l’offuscamento, nel quale risiede l’ultimo sussurro dell’Io.

Giovanna Fracassi celebra le anime che vivono la solitudine in modo ancestrale e benefico. Le eterne interrogazioni sulla sua valenza nella società e nei rapporti personali sono manifestate in liriche dall’andamento calmo ed etereo quasi come se avesse un segreto inconfessabile, che verso dopo verso viene rivelato in modo velato, elegante e tenue.

“Emma. Alle porte della solitudine” è una silloge energica elaborata sia nelle notti di quiete sia nella corrente furente del fiume.

L’autrice si è denudata di emozioni, solitudini, pensieri difformi. Indugia l’eco dell’anima nel ricordare che ogni nostra sensazione partecipa della vita a livello quotidiano, anche la mancanza non è mai una vera scomparsa perché il ricordo risiede nella memoria e prosegue la sua esistenza in altre forme.

“Pure/ quei passi/ che ho inciso/ nell’anima// sono rimasti/ nell’eco/ che sempre// ritorna/ risuona/ rimbomba/ rimbalza/ risponde// di ora in ora/ richiama/ ricerca/ ricorda/ pronuncia/ il tuo nome.// Perché nulla/ alla fine/ di noi/ si è mai davvero perduto.”

 

 

 

Cristina Biolcati

 

Dopo “Arabesques”, “Opalescenze” e “La cenere del tempo” torna l’autrice vicentina Giovanna Fracassi con una quarta silloge poetica, edita dalla medesima casa editrice, Rupe Mutevole Edizioni. “Emma” con sottotitolo “Alle porte della solitudine” è stato pubblicato nel gennaio 2015 nella collana editoriale Trasfigurazioni in collaborazione con Oubliette Magazine.
Senza dubbio una mente in continuo divenire, quella di Giovanna Fracassi, che non si ferma e anzi, offre al lettore una produzione copiosa.
Fin dai primi versi, si comprende che protagonista assoluta sia la solitudine, intesa non tanto in senso peculiare, bensì universale, in quanto caratteristica che accomuna l’essere umano. Brevi istanti di condivisione di cui si compone la vita, non evitano di percepire in maniera assordante questo sentimento. Vi è però un senso di speranza, che ci dice che niente è perduto, quell’”anelito all’ infinito”, come lo chiama l’autrice, attraverso cui si riesce a dare un senso al dolore e alla mancanza. Nessuno nasce invano, ed ecco quindi che la lirica si trasforma in un inno che nega l’inutilità della vita e che rifiuta che essa sia tale. Ciascuno ha un compito ben preciso da svolgere, ed è come se il dolore attivasse i sensi. Attraverso la sofferenza, ci si sente vivi.
L’opera è dedicata alla madre, chiamata qui con un nome di fantasia, Emma. La donna è morta da anni, colpita dal morbo di Alzheimer. In maniera delicata l’autrice ci introduce su quella “soglia” dove lei ha dovuto rimanere, come figlia impotente, impossibilitata ad andare “al di là”. La solitudine della madre si erge quindi ad emblema di ogni solitudine, e riporta al tema del recupero della memoria, importantissimo per l’individuo, dal “ripostiglio del tempo”, di cui rimane un’eco in lontananza, sempre pronta per essere colta. E spesso nella poetica della Fracassi vi sono allitterazioni che si ripetono in maniera esasperata; oppure gruppi di aggettivi o di verbi, allo scopo di rendere quest’idea di eco che rimbalza. Che tutto torna e non è perduto per sempre.
“Pure/ quei passi/ che ho inciso/ nell ’anima/ sono rimasti/ nell’ eco/ che sempre/ ritorna/ risuona/ rimbomba/ rimbalza/ risponde” da “Eco”.
Parole dure, come “stiletto”, “fendente” che ricorrono, danno l’idea di un’arma che agisca in velocità, a tradimento. Un colpo secco, inaspettato, ad arrecare un immane dolore. Proprio come avviene nella vita, coi suoi eventi ineluttabili. La poetessa quindi si fa strada e cerca il ricordo, e, attraverso l’urgenza dei suoi scritti, si impone di ripercorrere le proprie radici e di non essere mai dimenticata. Ma nonostante questo desiderio di continuare a vivere, fa fatica a ricongiungersi alle persone care, sebbene solo col pensiero.
“Ho ascoltato le voci di cristallo/ disciogliersi nell’aria/ che scuote di rosso le rose appassite/ Eppure ancora non ti ho incontrato”. Da “Ho”.
Giovanna Fracassi
La mente è strutturata come se si trovasse di fronte a labirinti in cui ci si incontra, ma con altrettanta facilità, tutto sfuma e ci si perde.
Il ricordo è riportato attraverso immagini bucoliche, di una natura sempre presente, che è benevola ma rimanda al duro lavoro nei campi, di generazioni passate. Nei ricordi di bambina la tristezza rimane in agguato, pronta a ghermire e a ricordare quel vuoto venuto col tempo.
In alcune liriche si avverte una voglia di “leggerezza”, la necessità di potersi fidare di qualcuno, affinché non tutto sia dolore. Salta all ’occhio che il sangue in questa silloge non sia rosso, ma bianco. Forse perché il bianco, ricordando la pagina scritta, è più rassicurante, rappresenta un punto di “stasi”, di riflessione. Insomma, apre una possibilità che invece la crudeltà non concede.
Questo poetare, che prosegue per similitudini e si sviluppa in dicotomie, è in continuo divenire. Una sperimentazione che include parole provenienti dal mondo della musica e assonanze con termini utilizzati da poeti antichi, fra tutti Leopardi.
“nella foresta più vergine/ dove lo sguardo si smarrisce/ dove la mente si spaura/” da “Foresta”.
Vi è un profondo desiderio di avere risposte, in questa raccolta poetica di Giovanna Fracassi, che siano domande poste ad un amore, al padre, alla madre, ai figli o alla vita di tutti i giorni. La ricerca di un registro linguistico che sia d’impatto. Che prima ancora di arrivare col concetto, arrivi al lettore per il suono. Come la musica, così importante e colonna sonora dell’esistenza.
E concludo con una poesia che ho particolarmente apprezzato, perché credo compendi tutto.
“Narro a me stessa/ la bugia/ che voglio sia mia/ ma/ mi manchi/ ancora/.” Da “Bugia”

 

 “L’aria è cenere bagnata/ mentre le stelle/ si sono fatte liquide/ e fresca linfa risplende/ quando le nuvole si sono distese/ a riposare nella quiete del vento// ancora io cammino/ per accarezzare il profumo/ dei fiori d’acacia/ dolce stordimento dell’anima// e fingere per un attimo/ un attimo ancora/ che il cuore si sciolga/ in questa notte tiepida d’attesa.”

Emma – Alle porte della solitudine

Un Attimo e l’aria ricorda la cenere bagnata. La cenere del tempo che fu firmato con il sangue del verso. Immagini inesistenti di un’amante cortese e devota alla Natura. L’aria è cenere, le stelle diventano liquide, il caos della materia è contrapposto alla quiete del vento e del profumo dell’acacia. L’attimo è la speranza di poter sentire il cuore ancor pulsante d’amore sotto il ghiaccio del passato.

La donna, che soavemente partecipa dell’emozione, è in uno stato mentale di vicinanza con gli elementi naturali del Mondo. Salici, gigli, papaveri, fiordalisi divengono una porta verso l’infinito appagamento del suo essere. Una serenità eterna che vaga alla ricerca di risposte alle domande dell’accaduto, alle richieste di un presente insaziabile.

 

 

PREFAZIONE

 

 

di Maila Daniela Tritto

 

 

«Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose, ‒ conclude ‒, ci si può spingere a cercare quello che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile», così scriveva Italo Calvino nella sua memorabile opera Palomar, pubblicata per la prima volta nel 1983 per i tipi di Einaudi. Questa è senza dubbio una frase che merita una certa attenzione, poiché ci fa comprendere quanto la vita sia frenetica e perciò non sempre è possibile fermarsi un attimo, magari in solitudine, e riflettere su se stessi, su quello che si sta facendo e, soprattutto, sui legami intessuti con le persone che abbiamo conosciuto durante il nostro cammino. Per questo Italo Calvino ci invita ad andare oltre le apparenze per comprenderne l’essenza stessa.

È quanto capita nella silloge scritta da Giovanna Fracassi Emma. Alle porte della solitudine i cui versi poetici, come già suggerisce il titolo evocativo, sono intrisi di molteplici emozioni narrate con piglio deciso, ma anche in piena solitudine, appunto. Perché il libro che in questo momento reggete fra le mani, è impregnato dei sentimenti che scorrono senza sosta nei quali è evidente il carattere della poetessa. Ma andiamo con ordine. Ho avuto, infatti, il privilegio di leggere Emma in anteprima e adesso cercheremo di scoprire insieme qualcosa in più.

Del resto, già dalle prime battute «La lama del destino| come falce di gelo| fende la pietra| di gentile speranza», l’autrice conduce il suo lettore in un tempo indefinito, là dove tuttavia si percepisce fin da subito la solitudine della donna che ci narra di un passato dolente e di una “gentil speranza” per un futuro diverso e forse migliore. «Dal ripostiglio del tempo| l’ombrosa e luminosa presenza| come fresca paglia di memoria| brucia il libro nel sole». La liricità con la quale sono descritte le prime sensazioni create dalla penna di Giovanna Fracassi colpisce come il sole che riflette i suoi timidi raggi sulla candida neve, un barlume di speranza sul manto candido e persino come alcune memorie raccontate con un ritmo frenetico.

Se poi ci si sofferma sulla poesia Eco, si comprende, in effetti, che c’è qualcuno in particolare che anima i pensieri della scrittrice. L’eco che: «Richiama| ricerca| ricorda| pronuncia il tuo nome.| Perché nulla| alla fine| di noi| si è mai davvero perduto». Ecco dunque che la poetessa non si abbandona lentamente al suo ricordo ma cerca con tutta se stessa di recuperare la sua memoria, poiché nulla può essere più forte di quest’ultima. Per questo si ha la consapevolezza che nulla è mai stato davvero perduto. D’altronde, ancora una volta si manifesta nell’aria la speranza iniziale.

La scrittura di questa silloge s’insinua nei recessi dell’inconscio e spazza via perfino le ultime barriere che vorrebbero cancellarne il ricordo, anzi v’imprime un segno tangibile che è appunto caratterizzato dalle pagine fatte di carta e inchiostro. Tutto ciò è evidente nella poesia Mondo. Il mondo intimo della donna che mostra a tutti la sua identità psicologica, avvalorato dal periodare lirico che riserva non poche sorprese giacché tutto appare come un caleidoscopio d’immagini, suoni e talvolta persino profumi: «I miei passi nel sole| i riflessi delle stelle| nel tuo sguardo| i tuoi occhi immensi:| lì| il mio mondo raccolto».

Eppure, in questa silloge troverete perfino un certo simbolismo, che è sicuramente da interpretare, come capita in Fruscio: «Rotola il ricordo della gerla gravida| della memoria| ed è fiato trattenuto| tracciato sulla pagina| di bianca attesa| leggero impalpabile fruscio| della polvere dell’illusione». Benvenuti, dunque, nel mondo di Giovanna Fracassi, nel quale probabilmente molti di voi riusciranno a immedesimarsi. Un mondo di emozioni per una vita vissuta intensamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Intervista a Giovanna Fracassi  Simone Morichini

 

 

 

 

Giovanna, se dovessi descriverti in poche righe cosa diresti di te?

 

 

Preferisco non descrivermi perché credo debba essere sia  piacere di chi mi legge scoprirmi nei miei temi, negli argomenti che tratto, nella mia tecnica di scrittura. Qualsiasi definizione o descrizione che potrei dare di me stessa sarebbe comunque parziale perché davvero molto vasto è  l’orizzonte   sul quale mi muovo.

Parto da un elemento della natura e sviscero sentimenti , riflessioni che si ampliano toccando  le domande che da sempre ogni uomo si pone  sulla propria esistenza, sul proprio dolore, sul male di vivere che spesso lo attanaglia , sul senso da dare a tutto questo suo viaggiare dal nulla  verso il nulla che sgomenta ma anche  affascina irresistibilmente.

Di me posso dire che sono sempre in viaggio,  perché  non posso fermarmi  su nessuna verità.  Né mia né di altri.

 

 

Dopo Arabesques (2012), Opalescenze (2013), La cenere del tempo (2014), ora Emma alle porte della solitudine (2015), tutti editi con la casa editrice Rupe Mutevole. C’è un filo rosso che lega tutte le tue pubblicazioni?

 

 

Esiste certamente una linea  di sviluppo tra Arabesques e tutte le mie altre sillogi. I temi di fondo affrontati sono sostanzialmente gli stessi ma sviscerati, approfonditi, illuminati e tratteggiati  in modo diverso, con un’attenzione via via più accurata  al lessico .Sempre cerco di non ripetermi e di non usare immagini già abbondantemente presenti nel panorama poetico attuale Anche se mi rendo conto che questa mia ricerca mi porta a scrivere in un modo non immediatamente comprensibile ai più .Chi legge le mie poesie è indotto a doverci riflettere, a dover analizzare i  versi per coglierne appieno il significato, i rimandi alla mitologia, alle correnti  filosofiche , alla storia e alla religione. In questo senso  non credo che la mia produzione sia di facile e immediata lettura. Questo è proprio ciò che voglio mi differenzi  da tanti altri poeti. Credo sia la mia caratteristica saliente.

Ho iniziato  a pubblicare con la casa editrice Rupe Mutevole e vi  ho  incontrato  professionisti non solo capaci ma anche con tanto entusiasmo e voglia di crescere e migliorare, senza mai ritenersi arrivati. Sono stata seguita sempre con sollecitudine, ricevendo stimoli, suggerimenti che mi hanno aiutata e sorretta in ogni mia pubblicazione.

 

 

 

 

Soffermiamoci un momento proprio sul tuo ultimo lavoro. Si capisce già dai primi versi che la costante del libro è la solitudine declinata come tratto caratteristico dell’essere umano. Tutto sembra perso, smarrito e indefinito. Eppure, al fondo, c’è la speranza…

 

 

La solitudine di cui  tratto è la solitudine esistenziale , alla quale ritengo l’uomo non possa sfuggire nonostante la sua costante ricerca di  alleviare questa sensazione ineludibile .Ecco quindi i vari tentativi per superare questa solitudine , la ricerca spesso spasmodica di trovare in un altro da sé la possibilità di non percepirsi nella propria nudità esistenziale. Spesso questi tentativi portano alla delusione e  alla separazione , alla lacerazione   da quelle persone o da quelle situazioni in cui si  credeva d’aver trovato una risposta ,mentre si tratta solo  di  una pausa, una sosta  nella nostra  ricerca, nel nostro viaggio. Tutto questo, però non  ha alcuna connotazione pessimista, non deve portare alla disperazione Anzi, deve essere ciò che dà un senso al nostro vivere, al nostro innato bisogno di aprirci all’altro, di occuparcene, di averne cura. Su queste basi si fonda la nostra socialità, il nostro senso di appartenenza ad una famiglia, ad un  gruppo, ad una società, ad uno Stato .La speranza non è da me intesa  nella sua valenza consolatoria o come generico afflato verso un futuro migliore. Trovo che questa accezione sia limitativa. La speranza è insita nella vita stessa: togliere ad un uomo la speranza è come ucciderlo,  bruciarne il germe vitale interiore. Aver speranza deve spronare l’individuo a cercare le soluzioni, le risposte e soprattutto spingerlo all’azione. Diversamente è un acquietarsi  passivo sulla propria esistenza, un affidarsi a qualcosa o qualcuno altro da noi stessi.  

 

 

 

Mi sembra di capire che le tematiche ricorrenti nei tuoi componimenti poetici sono la mancanza, la nostalgia, la solitudine; sentimenti che toccano l’essenza più profonda dell’essere umano. Ma tutti si possono tradurre con una sola parola: il dolore. È davvero così per te?

 

 

Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emotiva assai  composita. Ad esso possiamo ricondurre tutti quegli stati d’animo che attraversano spesso i nostri giorni : l’inquietudine, l’ansia, la mancanza, l’assenza, la nostalgia struggente, il senso di abbandono, la tristezza ed il male di vivere, come pure  la sofferenza fisica e psichica, la malattia e il lutto.

La nostra vita è attraversata  da molti momenti di dolore. Da ciò la necessità, il desiderio imprescindibile , la tensione vitale che ci spingono a cercare e a sperimentare la serenità, la gioia, l’allegria come anche la condivisione delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti con chi ci è più vicino. Non sapremmo godere della salute, dell’amore, in tutte le sue accezioni,  di tutto ciò che di bello ci circonda, non troveremmo l’entusiasmo con cui affrontiamo le sfide continue al nostro intelletto e al nostro impegno nel lavoro e nella società  se non conoscessimo così spesso situazioni e sensazioni dolorose. Direi che il dolore ci mette in grado di apprezzare tutti  i momenti in cui è assente e , allo stesso tempo, ci spinge a  impegnarci, a lottare per superarlo, per vincerlo.

In questo senso credo sia ormai chiaro che i miei temi, come appunto la solitudine e il dolore , non implichino affatto una mia visione  pessimistica della vita, ma siano piuttosto da interpretarsi come viatici per una vita più consapevole nella sua pienezza e nella sua articolazione  e come strumenti  della  tensione  al miglioramento che ognuno  auspica per sé e per gli altri.

 

 

 

 

 

Hai già in mente un nuovo lavoro per il prossimo futuro?

 

Ho molti progetti per il futuro .Senz’altro un’altra silloge perché la mia evoluzione come poetessa  è ancora in divenire . Inoltre  vorrei  cimentarmi  nella prosa, per  ampliare le mie capacità espressive,  pertanto ho iniziato a scrivere  una raccolta di racconti brevi. E’ molto diverso scrivere un testo poetico da un qualsiasi altro genere letterario perché vi è la necessità,almeno per me, di sintetizzare un concetto in pochi versi trovando le metafore e le similitudini più efficaci per tradurlo in immagini  che sappiano coinvolgere e guidare il lettore  all’interno del caleidoscopio delle mie riflessioni. Mi solletica quindi l’idea di riuscire a fare qualcosa di simile con un altro tipo di testo. Non escludo infine, la possibilità di collaborare con altri scrittori per realizzare alcuni progetti molto particolari.

Concludendo  posso dire di avere ancora molto  da scoprire, da imparare e… da  scrivere. 

 

 

 Intervista a Giovanna Fracassi di Alessia Mocci

 

DOMANDE

  1. Ciao Giovanna, innanzitutto congratulazioni per la tua nuova pubblicazione “Emma. Alle porte della solitudine”. Una silloge con una copertina speciale. Ci sveli l’identità della donna raffigurata?

Il volto della copertina è quello  di mia madre, quando aveva l’età di 18 anni .All’epoca  aveva da poco conosciuto  l’uomo che sarebbe  diventato suo marito dopo molti anni di vicissitudini  famigliari e storiche. Erano gli anni del Fascismo e della Seconda Guerra  Mondiale   e anche la vita dei singoli ne venne inevitabilmente condizionata. I miei genitori dovettero aspettare molto tempo per potersi sposare ed il loro fu un amore molto travagliato, pieno di vicissitudini .Ho voluto dedicare questa mia silloge a mia madre perché l’ho persa anni fa,ma la malattia di cui soffriva, l’Alzheimer, in realtà l’aveva già allontanata da me, rinchiudendola in un suo mondo, nella sua solitudine popolata da ricordi del passato ma completamente assente al suo presente e quindi a me, sua unica figlia. Anche per questo, in molte mie  poesie, tratto i temi della solitudine, della mancanza, dell’allontanamento, dell’assenza. La vicenda di mia madre e il mio rapporto con lei , sono assurti a paradigmi delle tante solitudini che vedono protagoniste le donne, così spesso  costrette a fare affidamento sulle loro uniche forze interiori per affrontare i molti momenti difficili che costellano la loro esistenza, proprio in quanto donne.

  1. Facendo un passo indietro, il tuo curriculum letterario annovera tra le pubblicazioni: “Arabesques”, “Opalescenze” e “La cenere del tempo”. Quanto è variato il tuo modus scribendi?

 

La poesia è , per me, un modo di esserci, nella vita , in quel crogiuolo di pensieri, di sentimenti, di emozioni  che costituiscono  l’io individuale ma anche quello sociale. Pertanto, per poter esprimere tutto questo assume un valore importantissimo la scelta della parola. E’  questo l’atto creativo del poeta che con  la parola evoca il significato, dà realtà all’irreale, all’immaginario, dà voce all’inconscio  e ridefinisce, nobilita il reale, il quotidiano elevandoli dal particolare della vita di ciascuno all’universale della vicenda degli uomini in generale.

La parola evoca suoni, colori, immagini, sensazioni tattili, persino odori , dà loro voce, corpo, senso, li pone in relazione tra loro e con il pensiero di chi scrive Pertanto la  poesia e le parole che uso, sono per me un continuum in divenire perché non vi può essere compimento chiusura, fine, né nella singola mia poesia, né nelle mie sillogi. Al contrario vi  sono e vi devono essere, l’assenza, la mancanza perché tutto questo lascia aperta la crescita, l’esplorazione, la ricerca, la  tensione verso l’infinito. Scrivere è un atto dinamico: del pensiero e della parola, del significato  e del significante. In questo senso, penso che il poeta debba essere anche camaleontico, sapersi calare e celare in mille sfaccettature della vita non solo propria ma  anche degli altri e della natura che spesso fa da sfondo anche alle mie liriche.

Partendo da questi presupposti è inevitabile che, nelle mie varie sillogi, vi sia un crescendo di maturità e di  desiderio di  ricercare  una sorta di perfezione della forma e del contenuto  poetici, dato che faccio mia questa funzione della poesia di farsi portavoce di tante istanze  del pensiero e dell’animo umano, partendo dal particolare per giungere all’universale o spesso anche  con il moto inverso.

In tal senso mi piace pensare alla poesia come ad un laboratorio, dove il possibile si mescola all’impossibile, dove dimorano il tempo e lo spazio  rendendo presenti il partire  e il rimanere, l’esserci e il non esserci più, il ricordo ma anche l’oblio,  la malinconia, la tristezza, la nostalgia  ma anche l’estasi , lo stupore, l’incanto. Ecco perché le  parole e  alcune  figure retoriche , sono da me usate in quanto  simboli che rinviano sempre ad altro: riflessioni, considerazioni, osservazioni,  domande e ricerca di possibili spiegazioni o interpretazioni.  

 

  1. “Emma. Alle porte della solitudine”, come suggerisce il sottotitolo, intrattiene un rapporto privilegiato con la solitudine dell’essere umano. Quanto ritieni sia importante la solitudine nell’atto creativo?

 

L’atto creativo , per me, può avvenire solo nella solitudine, quando il mondo, dopo essere stato osservato, respirato, indagato con tutti i sensi e fatto proprio, tace, è finalmente lontano. In questa sospensione temporale, in questo spazio libero, si forma, prende corpo e si anima la mia scrittura. La composizione di una poesia somiglia ad un parto dell’anima e del pensiero. Nel mio silenzio interiore prendono forma immagini, riflessioni, emozioni e  si amalgamano in nuovi accostamenti di parole, in nuovi  affreschi, si aprono nuovi percorsi  di significato. Tutto ciò che attingo dal mondo, dagli altri, dalle mie letture, dalle mie esperienze si sedimenta nella mia interiorità e poi germoglia nell’urgenza dell’espressione poetica.

Questo atto creativo avviene di solito  accompagnato dalla musica, che altro non è se non la poesia dei suoni; grazie alla sua potenza evocativa e alla sua forza immaginativa, riesco a scrivere   guidata dalle vibrazioni  che la musica provoca titillandomi le corde del cuore.  

 

  1. Il Conte di Lautréamont scriveva: “Esiste una logica per la poesia. Non è la medesima per la filosofia. I filosofi sono da meno dei poeti. I poeti hanno il diritto di considerarsi superiori ai filosofi.”. La poesia superiore alla filosofia? Ci avevi mai pensato?

Filosofia e poesia affrontano in modo diverso gli stessi temi :l’origine e la fine dell’Universo, il destino dell’uomo, la felicità, il dolore, la morte. Ma sono  assai diversi gli strumenti di cui si servono.

La poesia ci permette  un contatto più immediato con la realtà perché ci fa entrare in comunicazione con le persone, ci  permette  di  penetrare, con la nostra sensibilità e la nostra intelligenza, nelle situazioni più varie e ci consente un approccio alle cose che ci circondano e alla natura,  molto  profondo  e pervasivo.

Lo sguardo del poeta  coglie, osserva, interpreta e ricompone tutto ciò che lo circonda. Si scrivono poesie su ogni argomento, il lavoro, l’impegno civile ,la religione, l’arte, il mondo delle piccole cose, la propria casa ,il giardino o ancora la vita dei  campi o nella città, l’amore in tutte le sue declinazioni, l’amicizia, i sentimenti positivi come anche quelli negativi, la malattia. Nulla si sottrae  all’osservazione acuta e piena di patos e di vita  del poeta.

La filosofia si occupa dell’indagine  razionale, sottopone ogni quesito, ogni problema all’indagine della ragione nel tentativo di riportare  ogni elemento ad un Uno, ad un Tutto originario. La poesia non ha questo scopo: anzi vive della molteplicità, si sostanzia  della varietà dell’essere e della vicenda umana in questo solo mondo conoscibile  e interpretabile. E lo fa con tutta la sua forza immaginativa e creatrice arrivando a quell’immediatezza  che coinvolge e comunica, laddove la filosofia necessita di lunghe e approfondite riflessioni e razionalizzazioni.

Ma non c’è vera poesia senza filosofia perché l’oggetto dell’indagine, alla fine, è appunto lo stesso: l ‘Uomo gettato in questa vita , in questo Universo.

Quindi non sono d’accordo con questa affermazione: non vi è, a mio parere, superiorità dell’una sull’altra. Hanno pari valore, pari dignità nella loro specificità.

  1. In un recente articolo, Cristina Biolcati scrive”: “In alcune liriche si avverte una voglia di “leggerezza”, la necessità di potersi fidare di qualcuno, affinché non tutto sia dolore. Salta all’occhio che il sangue in questa silloge non sia rosso, ma bianco.”. Confermi?

E’ proprio della poesia saper ammantare di leggerezza anche  i sentimenti e le emozioni più dolorose. La parola in poesia è sempre simbolo, rinvia a riflessioni, a considerazioni che non hanno come referente il singolo, un io e/o un tu, ma un Io totalizzante, l’ Uomo. Il poeta  non scrive di sé ma dell’Uomo.

Come potrebbe quindi scrivere solo del dolore ? Come potrei io scrivere solo del dolore che, pur restando la cifra ultima della vicenda umana( basti considerare che essa si conclude inevitabilmente con la  sofferenza e con la morte) deve trovare una sua collocazione nella vita di ciascuno? Una collocazione  tale che lo renda significativo, che consenta all’uomo di aprirsi, tramite esso, agli altri, al mondo, a tutto ciò che è altro da sé. Ecco perché, nella mia poesia, il colore del sangue è bianco: perché il dolore è  pura genesi, è  candida trasformazione, è  totale e offerta  apertura, è maieutica scoperta di sé stessi e di sé stessi nel mondo. E’ anche fiducia certo, in un altro giorno, in un altro domani, in un altro pensiero, in un’altra emozione, in un altro afflato verso il sublime, nella tensione alla vita, in un insopprimibile istinto di conservazione e  di sopravvivenza  dello spirito, dell’anima.

  1. Una curiosità: trascrivi i tuoi versi sul cartaceo con l’ausilio della classica penna oppure ti affidi all’immediatezza della tastiera?

Compongo nelle situazioni più varie e con i mezzi che mi trovo a disposizione. Accade che scriva  con la matita sulla copertina di un libro o su un foglio di giornale, con la penna sul block notes che porto sempre con me  e che utilizzo quando, per esempio, sono in auto e devo fissare subito un pensiero, un’immagine, un’emozione; ma scrivo anche in mezzo alla confusione, ad una mostra di pittura, o in un museo, e allora può tornarmi utile persino il cellulare. Ho una notevole capacità di estraniarmi da tutto e da tutti, bastano solo pochi minuti. Poi so che a casa, al computer, con la musica di sottofondo, recupererò  quanto appuntato e ricreerò tutto il mio pensiero 

 

  1. Le tue pubblicazioni hanno la firma della casa editrice Rupe Mutevole Edizioni. Dopo anni di conoscenza potresti dire che la casa editrice è molto attiva nella promozione dei suoi autori? Insomma, la domanda spicciola è perché scegli Rupe Mutevole per le tue pubblicazioni?

Ho avuto la fortuna di incontrare, del tutto fortuitamente , la Casa Editrice Rupe Mutevole, tramite Facebook. Sin dalla prima pubblicazione sono stata seguita e consigliata  dalla proprietaria Cristina dal Torchio,  dai collaboratori a vario titolo coinvolti e,  in particolare, da Alessia Mocci. Con tutti ho avuto rapporti molto chiari, sereni, e ho apprezzato la professionalità, la pazienza e la cura  con cui sono stata accompagnata in questo mio percorso di scrittrice. Ho anche  assistito con piacere e soddisfazione alla progressiva crescita di questa Casa Editrice che ha ampliato moltissimo, in questi pochi anni, la sua attività, divenendo una realtà editoriale sempre più presente nel panorama italiano  e estero, sviluppando varie iniziative volte alla promozione dei suoi autori. Credo che  come autrice non  possa chiedere di più. Inoltre ho già consigliato ad alcuni miei conoscenti di affidarsi a Rupe per la serietà  che la contraddistingue e per la qualità del suo operare. Personalmente continuerò a pubblicare i miei prossimi lavori con Rupe, sicura che la mia esperienza con questa casa editrice non potrà che essere sempre più  positiva e  gratificante, per entrambi.

 

  1. Un’anticipazione doverosa è che “Emma. Alle porte della solitudine” sarà presentata alla prestigiosa Fiera del Libro di Francoforte che si terrà ad ottobre 2015. Sai già se potrai essere presente all’evento?

In quel periodo non mi è facile allontanarmi dal mio  impegno come docente. Certo sarebbe mio desiderio potervi partecipare, sia per l’importanza dell’evento che si svolge in una città della Germania che già  ho visitato e apprezzato, sia per la  soddisfazione personale .Già l’anno scorso vi è stata presentata la mia penultima silloge La cenere del tempo, che anche Emma sia stata scelta per l’edizione di quest’ anno  non può che rendermi particolarmente felice ed  orgogliosa. 

  1. Salutaci con una citazione

Il termine poesia deriva  dal greco pòiesis, che rimanda al  verbo pôiein: fare, creare. Pertanto scrivere una poesia è un atto creativo che presuppone un’intenzionalità, quindi la messa a punto dei  contenuti e dei messaggi che si vogliono trasmettere, il possesso di un quadro di riferimenti culturali, l’aver fatto propri valori  e principi etici . Il verso non è solo, o non tanto, una questione di eleganza e di  metrica, quanto piuttosto l’espressione di un pensiero ,di un’idea, di un’emozione, di un sentimento, di un’immagine o di un desiderio.

Concludo  perciò citando Ugo Foscolo : “ Odio il verso che suona e che non crea “

Giovanna Fracassi

 2015-03-17 16.46.58