Linee della mia poetica

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La poesia è un testo particolare che più che spiegato va semplicemente consigliato. In una raccolta di componimenti non c’è una trama, non ci sono dei personaggi da descrivere e le poesie vanno, a mio parere, semplicemente lette.

Questo in quanto vi  è uno strettissimo rapporto fra il lettore e il componimento: si tratta di una comunicazione, differita nel tempo e nello spazio, fra chi scrive e chi legge. Nel momento in cui leggo dei versi sento ciò che quelle parole mi vogliono trasmettere e, se esse corrispondono al mio mondo interiore, ecco che le apprezzo, le comprendo.

I temi della mia poesia

Temi ricorrenti nelle mie poesie sono l’assenza, la nostalgia ,la malinconia, il ricordo e lo smarrimento, talvolta la rabbia, il dolore, il ritorno .Essi sono tutti correlati e costituiscono i riflessi tangibili di quella che è la mia filosofia. Il mio mondo poetico è intessuto attorno al nucleo tematico del Ritorno.
Ritorno che contempla la presenza prima e l’assenza poi, dentro cui s’intrecciano i fili del ricordo, della nostalgia, della malinconia, della speranza, della solitudine, colmabile quest’ultima solo con il donarsi agli altri, con il farsi compagno di viaggio della solitudine altrui, fosse anche per pochi minuti.
Ritorno giustificato all’interno del concetto che nulla dell’anima va disperso, che la nostra energia spirituale non si esaurisce con la morte del corpo, ma resta a gravitare, attraverso quelle direttrici che chiamiamo spazio e tempo, categorie che usiamo per dare un ordine al nostro vissuto e a quello dell’umanità, ma che sono estranee allo spirito che ci anima. Quello spirito la cui unicità ci determina e ci identifica come singolo essere irripetibile e dal quale siamo irresistibilmente attratti tanto da avvicinarci all’altro, con curiosità ma anche con empatia. Empatia che ci conduce anche a provare compassione, solidarietà, complicità.

La cifra ultima rimane comunque  il dolore: il dolore visto non sempre e non solo in modo negativo ma come possibilità dell’esistenza stessa. Nulla può crearsi se non utilizzando ciò che è già distrutto o comunque con un atto di dolore, di separazione ( come avviene per esempio nella nascita).Dal dolore e con il dolore si crea nuova vita, nuove esperienze, nuove emozioni, nuove realtà.

Al dolore sono connessi la nostalgia per ciò che è passato, per i volti che il tempo si è portato via, la malinconia  con tutto il suo struggimento per ciò che più non è né più potrà essere e del quale si sente la mancanza.

L’assenza che permea di sé il dolore. Assenza intesa non solo di qualcuno o di qualcosa ma soprattutto di quell’io che è in continua trasformazione, è cangiante e mutevole al punto tale da creare sgomento, inquietudine, ricerca di quel nucleo profondo non solo di se stessi ma della nostra vicenda sulla terra.

Lo smarrimento, la vertigine di sgomento che si prova di fronte alla consapevolezza della ineludibilità del proprio trascolorare in un tempo delimitato e il senso di rabbia impotente per tutte le esperienze, le emozioni, le occasioni che non si potranno vivere, cogliere.

Ecco allora che una vita non basta, ecco allora il grido disperato e la strenua difesa di una speranza: che tempo e spazio siano dimensioni inconsistenti che si possa e si debba giocarsi ancora e ancora. In tempi e spazi che non si rammentano ma che esistono e che consentono anche di ritrovare, di intercettare quelle anime, quegli spiriti che tanto si amano.

Da questo, il sentimento della solitudine, la solitudine esistenziale, connaturata alla stessa vita, solitudine che si apre all’empatia verso l’altro vissuto come temporaneo compagno di viaggio, per un breve o lungo tratto della propria storia e al quale si può donare la propria partecipazione e dal quale si può ricevere altrettanto ben sapendo però dell’estrema provvisorietà di ogni incontro, di  ogni rapporto.

Il dolore nella sua accezione più ampia che per me coincide, in massima parte, con l’idea del nulla. Quel nulla dal quale proveniamo e al quale torniamo (e qui naturalmente esulo da qualsiasi discorso religioso), un nulla però che ha in sé le infinite possibilità dell’esistenza, delle esperienze di vita, degli incontri, delle emozioni e dei sentimenti. Un nulla che ci circonda e ci rende portatori di significato.

Un nulla di fronte al quale proviamo un forte senso di smarrimento: perché sapere di potersi giocare la propria vita è una consapevolezza che sa di vertigine.

Ma ancora vi è dolore nel ricordare non solo persone a noi care che si sono allontanate o che non ci sono più, ma anche nel pensare a quel nostro tempo vissuto nei luoghi  dell’infanzia: malinconia, struggimento, nostalgia per un giardino, per una casa, o una stanza, ma anche per le voci, i volti, le attività, i giochi. Ovvero per quella parte di noi che non c’è più, s’è allontanata in quel nulla, in quel tempo che non può più ritornare, per quel noi stessi che non siamo più.

Nelle mie poesie vi sono parole che tornano spesso : tempo, spazio, assenza, anima.

Anima perché tutto: pensieri, riflessioni, emozioni, sentimenti; si genera e vive in questo concetto di cui mi servo per indicare la mia interiorità, quel “luogo “ appunto dove il tempo non ha più significato e l’ieri, l’oggi e il domani sono categorie superate nella speranza che tutto possa ritornare che niente sia davvero perso per sempre e che di ciascuno di noi rimanga sempre qualcosa.

 

 

Silloge Arabesques

1888610_684472428270233_1268743225_nArabesques è la mia prima raccolta di poesie ad essere pubblicata. 
Scrivo da sempre, sia pure alternando periodi di intensa attività ad altri in cui mi concedo una “pausa”.
Uso i miei versi per dare voce a tutto ciò che mi “esplode” dentro, l’esterno è da me vissuto in stretto rapporto con ciò che provo, con le mie emozioni, i miei dubbi, la mia continua ricerca di senso.
Nella scrittura metto a nudo il mio vero essere, compreso il lato oscuro, talvolta inquietante, che ognuno cela in se stesso e che considero una fonte inesauribile di riflessioni.
Guardarsi dentro, a volte, può essere assai doloroso ma è, per me, una forma di catarsi e spesso il tutto è volutamente criptico.
Non posso e non voglio dare un’interpretazione della mia poetica, perché credo che la poesia, come ogni altra forma di scrittura, assuma un significato nella misura in cui chi la legge sa trovare una corrispondenza fra il proprio sentire e ciò che è narrato.
Lascio perciò ad ogni lettore il piacere di cercare, fra i miei versi, l’eco di una sua emozione e di vibrare in sintonia con me nell’ indagare il meraviglioso universo dell’animo umano.

 

Silloge Opalescenze

 

 

“Opalescenze“ nuova raccolta poetica dell’autrice Giovanna Fracassi

Esistono realtà parallele che non si nutrono dello scorrere classico del tempo, esistono gocce che trasportano un intero patrimonio genetico di emozioni e di capacità inalterate dal presente. Semitrasparenze che rimandano a tutto il sensibile presente in uno sguardo o nel cadere lento di una foglia sul terreno. La caduta non è da considerarsi sempre e solo come morte, ma come cambiamento necessario per il ciclo della vita.

“Stille di nebbia/ sulle mie labbra/ presto le mie tracce/ sfumano nella luce ovattata.// Il fruscio delle serpi/ stride improvviso:/ troppo vicino/ troppo vicino.// Non c’è fuga/ dall’inganno delle opalescenze/ un fiotto di vapore/ s ’avvolge e/ nell’inconsueta spirale/ il bagliore repentino/ irrompe:/ troppo tardi/ troppo tardi.” – “Stille”

“Opalescenze” narra di una fuga dalla quotidianità del pensiero, una fuga idealizzata dal verso compresso di regole retoriche. Ci troviamo di fronte alle svariate prove della libertà d’espressione. L’autrice racconta di mondi nei quali la mente non deve rammaricarsi per i suoi “sì” ed i suoi “no”; i due poli, positivo e negativo, sono corrispondenti all’immagine riflessa su uno specchio, non è né a destra né a sinistra che l’Io potrà mai trovare pace. La liberazione, in questa raccolta, si ha attraverso l’accettazione della profondità della propria anima, una profondità ricoperta di malinconiche certezze.

Giovanna Fracassi non abbandona le idee di libertà che abbiamo trovato nella prima raccolta, “Arabesques” (edito nel settembre 2012 nella stessa collana editoriale “Trasfigurazioni”), anzi notiamo un tratteggio sempre più definito della sua sfrenata ricerca di consapevolezza. Infatti, se prendiamo ad esempio liriche come “Preghiera”, “Segno”, “Sacrificio”, “Smarrimento” e “Foglia” si potrà notare la volontà di continuare la vita oltre una sorta di morte apparente, non una morte reale del corpo ma un trapasso dall’ormai vetusta vita della mente ad un nuovo spiraglio dal quale guardare il mondo. Sono pensieri profondi animati dalle potenzialità di un’autrice che non si arresta davanti ad un verso spezzato o davanti ad una rima baciata.
Una tematica presente nella raccolta poetica è il profondo dolore che si viene a formare con la rinuncia dell’amore.

L’oggetto della rinuncia non è nitido, è piuttosto un pretesto letterario per descrivere delle profonde sensazioni dell’anima, come se quest’ultima divenisse una sorta di ombra indistinta,
di ombra che su sfondo nero ha la certezza di aver tralasciato qualcosa che non ha più diritto di vita. Dialoghi intimi con un animo devastato da circostanze emozionali che non permettono una veloce transizione.
“Ombra indistinta/ dai contorni/ ormai slabbrati/ triste e logora/ aerea/ indugi/ sullo sfondo nero/ del mio lacerato sipario.// Niente sei/ ora più/ se non malinconica/ maschera/ emaciata/ a ricordo di ciò/ che mai sarai/ del sole che mai/ più scalderà/ né il tuo cuore/ né la tua parola.// Ombra indistinta/ ti aggiri sgomenta/ perduta sei/ nel tuo labirinto/ ed io per te/ nulla posso.// Il mio silente pianto/ raggiungerti mai più oserà.” – “Perduta”

E se l’animo, come ombra malinconica, si perde all’interno del suo complesso e labirintico accesso verso la felicità, anche la materia è compenetrata da una perdita, da una caduta verso un incipit di tempo che non ha misura. Un cambiamento necessario per il corpo e per lo spirito, una lotta nella quale i combattenti appartengono al medesimo personaggio, in questo caso all’Io Poetico. Anima e corpo come antichi cavalieri alla ricerca di un personalissimo Graal.

Alessia Mocci

 

Intervista a Giovanna Fracassi a cura di Vanessa Falconi

 

“Opalescenze”, nel senso di iridescente, perché questo titolo?

E’ preponderante nella tua silloge poetica il dialogo intimo con
l’animo, cosa ti spinge a darne voce e quindi concretezza verbale?

Cosa accomuna “Arabesques” e “Opalescenze”?

Il mio mondo poetico è intessuto attorno al nucleo tematico del “Ritorno”.
“Ritorno” che contempla la presenza prima e l’assenza poi, dentro cui s’intrecciano i fili del ricordo, della nostalgia, della malinconia, della speranza, della solitudine, colmabile quest’ultima solo con il donarsi agli altri, con il farsi compagno di viaggio della solitudine altrui, fosse anche per pochi minuti.
“Ritorno” giustificato all’interno del concetto che nulla dell’anima va disperso, che la nostra energia spirituale non si esaurisce con la morte del corpo, ma resta a gravitare, attraverso quelle direttrici che chiamiamo spazio e tempo, categorie che usiamo per dare un ordine al nostro vissuto e a quello dell’umanità, ma che sono estranee allo spirito che ci anima. Quello spirito la cui unicità ci determina e ci identifica come singolo essere irripetibile e dal quale siamo irresistibilmente attratti tanto da avvicinarci all’altro, con curiosità ma anche con empatia. Empatia che ci conduce anche a provare compassione, solidarietà, complicità.
Da questa premessa si può quindi comprendere la continuità di pensiero e di espressione che sottende alle mie due raccolte. I miei versi sono liberi, la ricerca delle parole accurata, vi è un ampio uso delle figure retoriche, in particolare: metafora, metonimia, personificazione, sinestesia, anastrofe, anafora. Risulta evidente la volontà di tenermi lontana dai temi e dalle forme espressive più consuete, alla ricerca, come sono, di una mia personale poetica.
Ecco il perché del titolo Opalescenze: ogni sentimento, ogni sensazione, ogni riflessione assume tonalità differenti a seconda dell’angolo di osservazione interiore o esterno scelto. Anche in questo vi è continuità con il titolo della mia prima raccolta “Arabesques”: le poesie sono intimamente intessute di emozioni e pensieri e, insieme, costituiscono un nuovo “quadro” emotivo all’interno del quale mi muovo e accompagno chi mi legge.

Quando il tuo primo verso poetico?

Ho iniziato a scrivere poesie a 13 anni ed ho continuato per tutto il periodo dell’adolescenza, come capita a tanti. Sono seguiti poi anni in cui mi sono dedicata ad altro e non ho più scritto versi. La passione, l’urgenza di esprimermi attraverso la poesia è ritornata, prepotente, da poco tempo.

Cos’è per te la poesia?

A questa domanda posso rispondere spiegando cos’è per me la mia poesia, poiché trattare del significato della poesia in generale richiederebbe una risposta che, per essere esaustiva, travalicherebbe lo spazio di questa intervista.
La mia poesia è uno sguardo sul mondo che mi circonda, sia esso inteso come realtà naturale:i paesaggi, il cambio delle stagioni, le variazioni atmosferiche; sia come realtà umana:l’uomo con i suoi bisogni, le sue tristezze, i suoi sogni, la gamma infinita e poliedrica dei suoi sentimenti e delle sue emozioni.
Tutto ciò è da me visto, vissuto, fatto mio attraverso il filtro della mia sensibilità, delle mie stesse esperienze e della mia visione della vita. Ogni aspetto che attira la mia attenzione viene così a rapportarsi con i temi della mia riflessione esistenziale, con la mia ricerca di senso e con il mio anelito a cogliere una dimensione spirituale che vada oltre la mera descrizione lirica di sentimenti ed emozioni. In questo senso la mia poesia è l’espressione del mio continuo essere in viaggio dentro me stessa e dentro l’universo umano.
Inoltre, la mia poesia è comunicazione, è un ponte che costruisco per raggiungere il lettore, in un tempo differito, in uno spazio dilatato con l’intento di condividere ma soprattutto di sollecitare alla riflessione. Ed è proprio questa consapevolezza che mi spinge a ricercare temi e forme sempre più chiari e coinvolgenti così che il pensare a chi mi leggerà sostanzia e precisa la mia stessa scrittura in una continua spirale creativa. L’atto dello scrivere diviene , in tal modo, l’unica modalità con la quale ritengo di poter, almeno parzialmente, superare la mia solitudine esistenziale; quella stessa solitudine, ineludibile, che permea la vita di ogni uomo.

  1. F) Se dovessi consigliare ad un giovane lettore una raccolta poetica,.
    Quale indicheresti?

Ad un giovane lettore consiglierei di leggere i Canti di Leopardi. Poesie come Il sabato del Villaggio, A Silvia, L’infinito, Il passero solitario sono quanto di più emozionante e illuminante si possa offrire ad un animo che si sta aprendo al mondo e comincia a porsi quelle domande esistenziali alle quali poi non si troveranno mai risposte esaustive.

  1. G) Il poeta che ami ?

Il poeta che amo di più in assoluto è Giacomo Leopardi, ma leggo volentieri anche G. D’Annunzio, poi apprezzo moltissimo G. Ungaretti, così come E. Montale e,fra i contemporanei, Alda Merini. Fra gli autori stranieri prediligo C. Baudelaire, W.B.Yeats, W Shakespeare. La mia poesia si sostanzia anche delle suggestioni ricavate dalla lettura dei filosofi : J.P.Sartre, F.Nietzsche, M. Heidegger.

  1. H) Come pensi possa oggi esser accolta la poesia dalla società?

Credo che la società attuale abbia bisogno di filosofia e, quindi, dato che io le considero strettamente legate, di poesia. Questo per non lasciar soffocare lo spirito di ricerca del senso da dare alla propria esistenza e a quella dell’umanità. Non possiamo illuderci di controllare il mondo, la natura unicamente con la tecnologia e la razionalità. Il mondo va anche interpretato, agito, vissuto, fatto nostro grazie alla scelta consapevole di quei valori fondamentali che ognuno può e deve elaborare. Ecco perciò perché dobbiamo coltivare la nostra dimensione spirituale attraverso la riflessione interiore e tutte le forme d’arte che ne sono espressione e fra queste, la poesia non può che occupare un posto di primo piano.

  1. I) Come è cambiato l’approccio alla poesia negli anni?

Conseguentemente l’approccio al testo poetico è divenuto più “libero”, proprio perché la poesia risponde ai moti interiori di ciascuno, ognuno sceglie di leggere e soprattutto di apprezzare e cercare quel tipo di poesia che meglio gli corrisponde; nei versi della quale può ritrovarsi o per le emozioni provate o per i sentimenti vissuti o per le analogie con la propria visione del mondo e della vita. In questo contesto non ha più molto senso lo studio della metrica o l’interpretazione “canonica” di una composizione contemporanea. Queste restano invece imprescindibili nella lettura dei classici.

  1. L) A chi consiglieresti il tuo libro?

Consiglierei il mio libro a tutti coloro che non cercano nella poesia un momento di svago, bensì un’occasione per riflettere sul viaggio interiore dell’uomo, un viaggio costellato di dolori, sofferenze, solitudini, nostalgie e di brevi e fugaci istanti di gioiosa serenità .Un viaggio in cui l’Altro è compagno, magari solo per un breve tratto, ma per quel poco tempo, è conforto, è confronto, è quell’uscire dalla propria interiorità per condividere con l’altro la fatica, l’impegno, la responsabilità di vivere consapevolmente.

 

 

 

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