Racconti

Una storia piccola così.

Nascosto nell’angolo della sua anima, acquattato nel silenzio dei suoi pensieri, osservava discreto il dipanarsi della vita altrui. Tesseva fili invisibili di congetture, immaginando storie tristi o vicende allegre. Scopriva lo sbocciare di nuovi amori o le trame di tradimenti quotidiani e banali.250332_442541065798110_418202316_nQualcuno avrebbe potuto pensare che fosse solo uno spione perditempo, ma non era per nulla così. Mai si stancava di emozionarsi, come pure di indignarsi per ciò cui assisteva, e soffriva e gioiva e davvero si sentiva vivo. Vivo come non era stato mai, neppure prima, prima che tutto il suo mondo sparisse, inghiottito nel nulla, prima che tutti i suoi ricordi fossero risucchiati nell’inutile attesa di ritrovare un filo conduttore, magari una flebile luce, in grado di dirgli chi era, qual era il suo nome, che cos’era stato di quella sua vita che ora oscillava, come un pendolo, al ritmo dei giorni, delle ore di quelle esistenze che neppure sapevano di lui.

Di lui, nascosto nell’angolo della sua anima, acquattato nel silenzio dei suoi pensieri.

 

Giovanna Fracassi

 

 

 

 

 

 Breve storia in salita

Camminava sul ciglio della strada mentre le poche auto passavano lente, incerte nella nebbia che lei respirava  piano, quali volesse usare il suo respiro con parsimonia. Sembrava così immenso il mondo  che poteva esplorarlo solo ad occhi chiusi, fingendo che quel velo grigiastro fosse solo un sipario lieve  che ondeggiava al vento freddo che le sfiorava la pelle.

Le mani in tasca  erano conchiglie fragili come la sua disperazione.230332_321092858003507_1621649944_n

Lei che se  andava via e pensava alla vita delle farfalle: chissà se nella loro breve vita esploravano quella porzione di mondo a loro assegnata..facevano tutto per benino? Nessuna mai cambiava fiore assegnato o direzione? E poi c’era davvero qualcuno che indicava loro il percorso da seguire…pensieri inutili mentre il naso colava tristezza e gli occhi sbarrati su quel futuro tutto da costruire si spingevano pochi metri più in là.

Finalmente un lampione arancione sbucò da quel nulla. Tornava così in mezzo alle case di un quartiere di periferia. Era  veramente quello che voleva? Voleva davvero ritornare fra la gente, quell’anonima massa di persone che non sapevano nulla di lei, non avrebbero mai comunque saputo nulla di lei, di quella ragazza stretta nel giubbotto troppo corto, troppo leggero, troppo nulla  per proteggerla  dal freddo di una vita senza attese, senza ricordi .

Accese un fiammifero e, con le dita irrigidite, si portò una sigaretta alle labbra. Tiepido quel calore   guizzò sulle sue guance, rifletté un attimo e poi prese la sua decisione. Passò davanti alle finestre ancora accese, ma non si fermò ad immaginare  ciò che neppure vedeva…semplicemente  andò dritta per la sua strada. Il peggio in fondo era già passato.

Giovanna Fracassi

 

Vecchio giardino                       

 

Una  villa antica  nascosta nella  vegetazione del giardino che racconta del tempo passato. Rallento il passo fino a fermarmi e m’incanto ad osservare quel groviglio di vecchie piante, di  alberi dai tronchi contorti, di  cespugli di specie ormai introvabili, di  resti di aiuole dove fiori,  piantati chissà quanto tempo fa , fioriscono in una piacevole e totale anarchia. Vi sono piante di glicine, cariche di una moltitudine di fiori, che si abbarbicano ai terrazzini colonnati, all’interno di  uno dei quali, vi è il portone d’ingresso.  Sui gradini di  pietra scurita dai troppi inverni, appassiscono  erbe  mal tolte. Qua e là,in uno spruzzo di sole si scorge un piccolo spiazzo erboso dove è all’ancora un vecchio salottino in ferro battuto bianco, ora maculato di ruggine. Tutt’intorno giacciono riversi nelle più strane e bizzarre posizioni , vasi di coccio o di pietra spugnosa che traboccano di erbe odorose: rosmarino, salvia, lavanda, , menta, erba cipollina, forse ciò che rimane di un piccolo orto. Neppure manca la fontanella, con una vasca in cui l’acqua non sgorga più ma rimane  a ricordare  gorgoglii  di frescura nelle estati afose. Forse alcuni pesci rossi deliziavano la curiosità di bambini che ora sono diventati vecchi e chissà mai dove saranno andati a far riposare le loro ossa consunte e le loro anime, dimentiche dei giorni più felici. Un putto della primavera, o dell’autunno, adorna  l’ingresso  al giardino, appena dopo il cancello di ferro battuto, nero di  tempo passato. Sembra voler fare un inchino ed invitare ad entrare il viaggiatore stanco e curioso. Vi sono  le coroncine splendenti delle margheritine che indisciplinate  si mescolano alle violette mentre già spuntano i primi  tulipani ad occhieggiare il passeggio…chissà quali amorevoli mani hanno piantato quei bulbi tenaci, che nonostante l’incuria ancora rivendicano il loro posto  fra   le magnolie giganti  , il nodoso ulivo  e il salice piangente, che  ancora si sporge sull’orma lasciata dal vecchio stagno, dove rane e raganelle gracidavano festose nelle sere estive  Lo sguardo si spinge dietro la casa e vi scopre il ciliegio fiorito, accanto vi è il pesco, poco più in là il caco e il fico. Chi più raccoglierà nel cestino i frutti dolci e sugosi, nello scorrere interminabile delle stagioni ?

Ma ciò che più  mi sorprende è come la vita di questo giardino, così decaduto, così abbandonato  all’incuria e ai capricci del tempo, riesca a sopravvivere  in un disordine che tale appare solo a chi lo osservi  con occhio critico, ma che in realtà costituisce un equilibrio mirabile fra esigenze  diverse. L’edera  ingentilisce il vecchi pozzo  di pietra scolpita dove ancora dondola il secchiello arrugginito che oscilla incauto fra i riccioli di ferro che lo adornano : la catena tintinna e dà voce al silenzio, accompagna il  fremito delle campanule azzurre,  i discreti non ti scordar di me  e il leggero reclinare dei mughetti inebrianti  di candore.

Dai vecchi cornicioni , dagli anfratti dei camini  fuligginosi sbuffano ciuffi d’erbe e ramoscelli da cui fanno capolino  piccoli becchi aperti nel vuoto : sono nidi, quelli  più sicuri che né uomo, né intemperie o capriccio del vento sono riusciti a distruggere. E così nel tramonto o nelle prime luci del mattino vi è tutto un cinguettare felice fra i rami più alti e il tetto paziente : tutto il giardino è ridente e festoso  nell’accogliere grato ogni raggio di sole.

Dall’angolo del muro di cinta, scrostato  dalle intemperie, un  vecchio gatto  guardingo, avanza cauto e silenzioso, perlustra attento ogni anfratto, annusa  sospettoso il ramoscello trovato  di traverso  al suo passaggio, aggira lento la pigna ormai marcita. S’arresta un attimo, in ascolto di chissà quale rumore tra il ronzio delle api  e di qualche mosca inquieta. Riprende poi il suo andare con piglio più deciso, di certo intento a inseguire  il suo obiettivo o spinto da  una curiosità improvvisa e scompare così tra il rododendro e l’erba alta.

Ma ecco che il giardino si  trasforma sotto la coltre di nubi minacciose: le corolle  dei fiori si richiudono , gli uccellini si rifugiano e tacciono al rombo del tuono che giunge, tutte le piante paiono stringersi  timorose con le loro radici, chi al terreno sassoso, chi al muro screpolato, chi alla pietra  scoperta come un dente candido. Nel silenzio che  tutto pervade, all’improvviso,  da una finestra lasciata aperta dal tempo, si spande nell’aria gravida di pioggia,  un canto leggiadro e solitario  che s’accompagna alle note struggenti di un pianoforte. Subito pare che quella voce  dia conforto a tutto il giardino che resta ancora sì attonito e trepidante, ma confortato nell’attesa che ritorni la quiete, passata la tempesta. 

Quando i cespi di lillà si asciugheranno intorpiditi, i primi girasoli  rialzeranno li loro capi di  sole e ancora le ginestre proteggeranno le umbratili  bocche di leone, là dove  tra i sassi e un vecchio annaffiatoio verde, le ortensie, accanto a ciò che resta di una vecchia altalena che oscilla cigolante  alla lieve respiro del vento,  ricordano  ore di  risa e di  pianti .

Un velo di nostalgia si stende ora su tutto questo rigoglio, quasi che sguardi stanchi rimembrino le malinconie e le speranze, le partenze e le attese, le gioie ed i dolori, le nascite e le dipartite. Tutto è rimasto  nella memoria di questo giardino, vi è qui custodito ed intrappolato a dispetto del tempo che fuori da questo cancello scorre ignaro o dimentico o indifferente.

Mi allontano quasi stordita da quell’ intimità, così offerta al viandante, ma  mi scivolano accanto solo persone che vanno di fretta , rinchiuse nelle loro bolle di pensieri  e allora  saluto l’incanto di quel giardino con questa promessa : resterai al sicuro  nello stupore del mio cuore.   10625143_1513489912249210_5787193133064124192_n

Giovanna Fracassi

 

 

 

 

 

 

 

 

In metropolitana

 

E’ il rito collettivo  di ogni mattina: scendo veloce, saltando i gradini a due a due , compiendo azzardati ed acrobatici sorpassi fra signore appesantite da valige  come macigni, studenti ingobbiti da zaini straripanti e compiti e seriosi  uomini in giacca e cravatta, armati di valigetta 48 ore in una mano e cellulare aziendale nell’altra. Capita a volte che debba spazientirmi dietro  alla suora indecisa su quale linea della metropolitana avventurarsi e, in questi casi, ma solo in questi, sfodero il mio più ammaliante sorriso e mi offro per un’indicazione .Forse, in cuor mio, provo l’ingenua e fanciullesca soddisfazione di aver fatto la mia buona azione quotidiana. Mi  carambolo in tempo per salire  sulla vettura prima che le porte automatiche chiudano tutti in un serraglio di lamiere luccicanti  e l’orrendo mostro  serpeggi verso le profondità più oscure della città, sparendo nel cunicolo  che tutto inghiotte fra le fauci nere e spalancate .Rimango appeso alla maniglia, lasciandomi dolcemente cullare dal rollio dei motori. Dopo due fermate, si liberano vari posti  e decido di appollaiarmi su una postazione da  dove poter sbirciare i titoli dal giornale  che  un signore di mezza età legge  con molta attenzione. A chi mi  vede , ammesso che ci sia qualcuno disposto ad alzare lo sguardo dal proprio cellulare o dal proprio ipad , devo ricordare un falco pronto a spiccare il volo, con quelle mie gambe lunghe e magre che non riesco mai a tenere ferme , gli occhiali dalla montatura nera  ad ingrandire due occhi scuri segnati dalle immancabili occhiaie ( lo sanno tutti ormai che dormo pochissimo ) in bilico sul naso aquilino che svetta al centro  del viso scarno  che termina in un mento appuntito.

Un’ altra fermata e un fiume di persone si riversa sul marciapiede appena in tempo per lasciarne entrare un altro, colorato e vociante. Accanto a me sì è liberato un posto e attendo curioso di vedere chi , fra gli ansanti maratoneti, riuscirà a conquistarlo. Quasi non mi ero accorto di una ragazza che tiene al guinzaglio un cagnolino pezzato di bianco e marroncino che punta deciso , fra la foresta impenetrabile di decine di gambe , proprio al sedile rimasto vuoto vicino a me. Gli si infila sotto quasi con un moto  imperioso di possesso e a quel punto tutti devono scostarsi e lasciare passare la giovane donna. Si muove lentamente ma con eleganza, i suoi gesti sono misurati e precisi , quasi come un felino  si siede  e subito mi solletica  un piacevole delicatissimo  profumo  di gelsomino. Non posso fare a meno di osservarla incantato dalle sue mani , piccole farfalle bianche  , che agili sistemano il guinzaglio, stringono in grembo la borsetta ,quasi come una carezza  sfiorano la cerniera e sicure sfilano un cellulare in cui in un soffio esala alcune brevi frasi. Ho appena scorto gli occhi, parzialmente nascosti dalla frangetta scura,che incornicia il viso a cuore dalla pelle ambrata, me li aspettavo indagatori, curiosi e attenti , invece sono lenti, limpidi, tranquilli, sembrano aperti su un abisso di niente.

Solo adesso , dopo qualche minuto che la guardo , mi rendo conto che è cieca. Rimane composta, silenziosa, sorride gentile a chi si complimenta per il suo cagnolino così carino ed educato.

Ma non volge il capo, non alza lo sguardo e all’improvviso  è una sottile membrana invisibile che mi separa da tutti gli altri e mi racchiude insieme a lei in uno spazio ovattato dove le chiacchiere piano piano non si odono  più, i corpi diventano veli  che vibrano di calore ed io solo percepisco  una quiete senza confini, la pace del tutto racchiuso dentro il cuore.

 

Giovanna Fracassi

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