Recensione silloge In Esilio da me

In esilio da me” di Giovanna Fracassi: l’immersione dell’Avatar nella memoria

Forse solo/ un lieve bisbiglio dell’inconscio/ nell’ora in cui nulla/ è come appare/ e la memoria della vita/ si espande/ e risale/ fino al centro di sé/ in quel punto minuscolo/ da cui tutto origina// per poi dipanarsi/ in mille rivoli molteplici/ in una molteplicità infinita/ in cui sembra implodere// […]” – “Avatar”

In esilio da me

Il centro di sé. Taluni lo denominano “anima”, altri “casa” ma, fondamentalmente, la via che si è intrapresa è la medesima. È un viaggio nel quale non si ha una mappa, non si ha un preciso punto di approdo. È un percorso autonomo dell’inconscio che si avvia verso il luogo a cui sente di appartenere.

Quel punto minuscolo che risiede dentro noi, ma che non è possibile dislocare spazialmente nel nostro corpo, perché è sia microscopico sia molteplice all’infinito. Quasi come se occupasse un misero millimetro ed al contempo l’interezza delle nostre membra.

Il discendere dell’Avatar (dal sanscrito di tradizione induista “Colui che discende”) in uno stato di presenza e di immersione nella memoria della vita.

Parole, immagini, suoni e percezioni vagano all’unisono, ed il Poeta solleva il braccio, impugna la penna e traduce in versi quello splendore, talvolta di oscura ed ardua interpretazione.

In esilio da me” è la nuova silloge di Giovanna Fracassi, edita da Kimerik nel 2016. È la quinta raccolta che l’autrice dona agli avidi lettori di poesia (“Arabesques” (2012), “Opalescenze” (2013), “La cenere del tempo” (2014), “Emma, alle porte della solitudine” (2015)).E’ sia una sia molteplici realtà che l’autrice ha portato con sé dall’ultimo viaggio alla ricerca del forziere nel quale dimora il cuore “Sono inciampata/ nel mio cuore/ in una notte di tenebra// l’ho accartocciato/ e tenuto stretto/ al petto ansante// volevo regalarlo/ o barattarlo/ per un pugno di felicità// era prigioniero/ il mio cuore/ con catene d’argento scuro// così a nessuno/ sembrava poi/ di gran valore.// […]” (“Cuore”).

Il cammino non è stato arduo. È, anzi, paragonato alla gioiosa immagine dell’ape che volteggia continuamente, di fiore in fiore, come se danzasse con sé stessa e con tutto ciò che la completa, in una solitudine estatica di profonda comunione con il suo operare.

[…] come il mio pensiero/ che si gingilla/ non s’arresta/ non si acquieta/ non si arrende// neppure in questo/ sole tiepido d’abbandono/ neppure in quest’ora/ di dolce solitudine// è come il discreto/ ronzio dell’ape che danza […]” – “L’ape”

[…] quando il pensiero/ passa oltre l’infinito del tempo/ passa oltre immensità dello spazio/ per andare a sfiorare l’eternità.” – “Oltre”

Ed è intuibile che i frammenti che si scorgono in “In esilio da me” siano memorie di una passione costante di Giovanna Fracassi: il conoscere culture diverse dalla propria. L’aprirsi, con occhi da bambina, con la meraviglia per l’insolito per poi amalgamarlo, in un secondo momento, con la nostalgia quando esso diviene ricordo.

Un passato che può riemergere soltanto con la solitudine che trascende le illusioni delle convenzioni della mente, per scintillare in infinita vita e morte, in melodie, in note sparse simili alle stelle del firmamento.

L’incontro con la follia ed il ritorno a casa.

[…] come stella dell’anima/ trascinata/ nella lucida/ follia schiuma di desiderio indefinito/ speme illimitata mai dissetata/ e perciò/ tanto più necessaria/ per continuare/ in quell’attimo/ varco dell’eternità// dove il tempo/ non è più tempo/ dove lo spazio/ non è più spazio.” – “Avatar”

Alessia Mocci