Che cos’è l’amicizia

Che cos’è l’amicizia? Consigli per evitare la falsità
Oubliette Magazine 07/06/2023 0
“I capricci della fortuna mettono alla prova l’affidabilità degli amici.” ‒ Cicerone

Lo scrittore, senatore e filosofo romano Marco Tullio Cicerone (106 a.C. ‒ 43 a.C.) non a torto considerava, nello svolgersi della vita di ogni essere umano, la capacità della Fortuna di invadere l’esistenza con i “capricci”. Ed è proprio durante questi episodi che si può valutare l’attendibilità di un rapporto d’amicizia, perché i più vedendo sfortuna si allontaneranno mentre in pochi resteranno al fianco della persona.

Cicerone segue così la tradizione di Epicuro, Ippocrate e Democrito che, trattando il tema del sommo bene, misero in guardia sulla possibilità di incontrare persone che fingendosi amiche avrebbero potuto rendere nulli i tentativi tanto agognati di quiete e tranquillità.

Nel volume “Anima Mundi” (Einaudi, 2021) Marsilio Ficino in una lettera all’amico Antonio Serafico del 1457 scrive: “Gli amici infatti assicurano la tranquillità, i nemici la tolgono, chi è né l’uno né l’altro la indebolisce e ostacola. Due sono soprattutto gli amici, quattro i nemici, innumerevoli i neutrali. Ora, poiché credo tu conosca già questa dottrina, date le nostre abituali conversazioni, non vorrei renderla pubblica, per non dare ai cani il dolcissimo pane dei figli (Mt, 15, 26), come ammonisce quel sapiente.”

Per continuare il discorso lasciamo un estratto dal libro “Lettere a Sofia” (Tomarchio Editore, 2022) nel quale l’autrice Giovanna Fracassi, in una lettera a Sofia, riporta le sue impressioni e riflessioni sul tema dell’amicizia.

Lettera del 15 maggio

“Cara Sofia,

[…] Mi hai chiesto: che cos’è l’amicizia?

[…] Non si fa fatica ad arrendersi all’amicizia, soprattutto quando questa vivifica ogni attimo della vita con impulsi benefici che si riverberano in tutte le proprie attività.

E sai che io per te sono una presenza che dà calore, significato, allegria e riposo e consolazione dalle preoccupazioni, dai problemi, dalle fatiche della tua esistenza. Noi siamo e continueremo ad essere tutto ciò l’una per l’altra. Non sono solo io una luce per te, anche tu sei un faro per me. Puoi aiutarmi ad orientarmi, puoi aiutarmi a non sbagliare, puoi indicarmi il porto più sicuro dove so di essere accolta per quello che sono, senza alcun timore.

Mi piace credere che questa sia una forma molto elevata e nobile di “amore” che tutto dà e nulla chiede. Se so di averti accanto mi sento più serena e più forte. Se so di essere nei tuoi pensieri e nel tuo cuore mi sento più protetta dai colpi della vita e mi sento gratificata di contare qualcosa per un’altra persona. La mia vita ha così un significato in più.

L’amicizia è un sentimento d’amore non finalizzato o assoggettato al soddisfacimento del desiderio sessuale. Per questo non conosce limitazioni per quanto riguarda l’età, il genere, i ruoli, lo status sociale. Si può essere amici fra uomini, fra donne, fra uomini e donne, fra adulti, fra adolescenti e adulti o anziani, fra appartenenti a categorie di lavoro o a professioni diverse, fra persone che ricoprono vari ruoli (genitori e figli, alunni e insegnanti, allievi e istruttori, laici e clerici ecc.).

L’amicizia è tante cose ma, per me, essa c’è quando è più importante la serenità dell’altro, quando insieme si possono affrontare anche le cose più difficili con lievità, e anche il dovere diventa piacere, quando l’empatia è così forte che riesco a “sentire” gli umori dell’altro.

L’amicizia è un sentimento che gratifica ma che può anche far soffrire perché non è vero (tranne in rarissimi casi per i quali ho un’altra spiegazione) che “un amico è per sempre” può esserlo solo se si è entrambi a volerlo.

Ugualmente non è vero che la vera amicizia non esiste o è assai rara. Quando c’è, è sempre vera. L’errore è aspettarsi che debba essere totalizzante e per tutta la vita (ma quale sentimento può soddisfare tali aspettative? Forse solo l’amore materno, ma anche questo con tristissime eccezioni) e che non implichi il doversi impegnare. Invece anche l’amicizia implica passione, intesa come volontà, tenacia nel superare i momenti di crisi, di stanchezza, di incomprensione, intesa come “fede” (credo che tu sia importante per me e lotto per tenerti nella mia vita).

Infine, bisogna anche saper accettare quando tale sentimento non c’è più in noi o nell’altro: significa che è finito il suo tempo. Significa che tutti i momenti più belli, più preziosi vanno ad arricchire il tesoro delle nostre emozioni più ricche ed insostituibili, quelle che ci scaldano il cuore quando la solitudine e la tristezza sembrano stringerci nelle loro spire. Significa anche che è giunto il momento di donarci ancora a qualcun altro perché tutti e ciascuno cercano un amico che sia “vero e per sempre” o per il tempo che sarà.

Tempo fa scrissi il breve racconto intitolato “Amiche” per rimarcare queste mie riflessioni. Questo racconto mi è particolarmente caro. È quasi uno “squarcio temporale” di un periodo felice e spensierato quale è stato per me l’infanzia. Un’infanzia dorata in cui i momenti più attesi e più intensi erano i giorni trascorsi in vacanza in montagna, dove i miei genitori avevano una villetta che si affacciava su un prato immenso. Su quel prato scivolavano le mie stagioni fra le corse a perdifiato, tra i fiori primaverili, i salti fra i covoni di fieno, l’odore inconfondibile dell’autunno e le palle di neve d’inverno. Compagna prediletta di tutti questi miei giochi era la mia amica del cuore. Con lei condividevo assolutamente tutto e così è stato fino alla maturità, quando la vita ci ha inesorabilmente allontanate. Forse anche per questo il ricordo dei nostri voli di fantasia, come quando appunto ci sdraiavamo sull’erba a guardare le nuvole in cielo, hanno per me ora una tonalità di struggente nostalgia e di tenera felicità. L’amicizia fra due bambine, molto diverse sotto tanti punti di vista, ma entrambe ingenue, aperte con innocenza alla scoperta del mondo, di quel mondo dei grandi in cui è meglio avventurarsi insieme, è uno dei sentimenti più puri e nobili e chi ha la fortuna di averlo provato lo custodisce per sempre come un grande tesoro.

In quanto alla delusione che si prova quando un’amicizia viene meno, per capirlo prova ad immaginare di entrare in una serra di fiori tropicali e, resisti allo stordimento causato dai colori vivaci, dagli incredibili accostamenti di tonalità e di forme, dai profumi intensi e dai vapori carichi di inebrianti esalazioni, ora sosta davanti ad un raro esemplare di orchidea. Ne sei affascinata al punto da voler sapere tutto di quel fiore. Sviscera ogni più recondita informazione, cerca ogni immagine fotografica o riproduzione, l’habitat, la composizione ottimale del terreno, la necessità di una luce adeguata, la quantità e la frequenza delle irrigazioni, le possibili malattie, perfino l’origine del nome, la storia, i benefici o le proprietà attribuiti, i miti in cui si ritrova menzionata. Insomma tutto. Forte di questa fascinazione decidi di tenerne in casa un esemplare per poterla coltivare con perizia e amore, per poterla osservare ed ammirare. La fai così entrare a far parte della tua casa, del tuo ambiente fisico ed emotivo, la accogli nel tuo orizzonte di cura.

Dopo un po’, ti accorgi che quella pianta pare non trarre beneficio alcuno dalle tue attenzioni, anzi, la vedi quasi deperire, spegnersi in mille imperfezioni. Più ti impegni, più ti prodighi meno rinvigorisce fino al punto che decidi, per il suo stesso bene, di riportarla al vivaio. Provi perciò la triste consapevolezza di non essere stata capace di farla vivere e prosperare, nonostante tutti i tentativi fatti e la tua buona volontà.

Questo è ciò che può avvenire con un essere umano.

La delusione è ancora più bruciante e accanto ad un senso di fallimento si affaccia anche una sorta di sorda rabbia la cui origine è semplicemente la mancanza di reciprocità. Quando si dà tanto e ancora non basta, quando si crede in quel rapporto e si scopre che è terribilmente sbilanciato o più drammaticamente, vuoto, fasullo, si deve amaramente ammettere di essersi tragicamente sbagliati.

Cosa rimane, dopo? Non c’è vuoto perché si comprende che neppure prima c’era il pieno, non c’era nulla, nulla di vero, di importante, nulla che valesse la pena di ricevere tante attenzioni, tante energie, tanto tempo. Eppure l’esperienza insegna, ma mai abbastanza. Forse perché l’animo umano è fatto così: non si arrende mai, se pure rimane ferito, offeso, umiliato. Poi vuole riprovare, credere ancora una volta, perché è difficile accettare che non ci sia mai niente che resti di pulito, di nobile, capace di sfidare l’egoismo, l’egocentrismo, il passare del tempo, i mutamenti e le fibrillazioni della vita.

È quasi imprescindibile l’esigenza, il bisogno di pensare che qualcosa, che qualcuno alla fine corrisponderà al proprio cercare, sentire, credere, volere, donare. Direi che è paragonabile all’istinto stesso di vivere e di superare, annullare o almeno dimenticare la propria solitudine.

Questa è la ricerca, il voler superare la propria individualità. Questo afflato al congiungersi con il resto dell’umanità è indotto dalla cultura, dall’educazione o è veramente inscritto nel nostro DNA?

Perché se da un lato è innegabile che sia necessaria la collaborazione reale, concreta fra gli individui per il reciproco sostentamento e per soddisfare tutte le necessità della vita, dall’altro, a livello affettivo, emotivo, psichico, filosofico è davvero altrettanto fondamentale?

O non è forse anche questo un modo in cui si tenta di tenere lontana l’unica vera preoccupazione dell’uomo, la sua unica grande inestinguibile paura: la paura della morte, della propria finitezza. Per scordare questa unica certa verità, l’uomo cerca l’altro uomo, il suo simile. Ed è pure disposto a sacrificare molto di se stesso pur di realizzare una comunione con pochi o molti che siano. In questo modo si espone a tutta una serie di delusioni, di sofferenze aggiuntive a quelle inevitabili che la vita porta.

Donare se stessi ad un altro vuol dire aprire la porta a nuovi dolori perché l’altro può comprendere e corrispondere solo in parte e per brevi periodi, più o meno intensi, poi ricade necessariamente nella sua stessa individualità. Così è per tutti e per ciascuno di noi. Da questo deriva che ogni rapporto umano è di per sé destinato a finire.

Affermare il contrario è ipocrita, è fasullo, che se ne sia consapevoli o meno.

Sofia, tu hai ragione: è davvero triste dimenticare una persona dalla quale si ha ricevuto tanto affetto, tante attenzioni, tante cure. Ci si deve sentire un po’ più soli. Se la persona a cui tieni si allontana da te, apparentemente senza un motivo valido, al di là di tutti i ragionamenti possibili, fa solo tremendamente male. Però se si vuole davvero bene ad una persona, anche se si ritiene, a torto o a ragione di avere da lei ricevuto delle offese, si sa mettere da parte l’orgoglio e le si tende di nuovo la mano.

Posso, inoltre, ricordarti che, a volte, la propria forza non si dimostra con atti o parole ma con la capacità di resistere alle provocazioni che facilmente possono indurre a reagire nel modo e nel momento meno opportuni.

Se hai un obiettivo da raggiungere non devi farti coinvolgere ed è prova di energia e determinazione, non di debolezza, lasciar cadere nel nulla ciò che ti viene detto per ferirti o metterti in difficoltà. L’unica risposta da dare a quelle persone che si comportano così nei tuoi confronti è dimostrare quanto poco valore attribuisci a ciò che fanno o dicono, quanto poco esse contino nella tua vita.

La vera forza è forgiare il proprio destino, compiendo ogni giorno le scelte che si ritengono giuste anche se ciò può essere faticoso e talvolta doloroso.

Nei momenti più bui pensa che nell’Universo c’è una bellissima legge: il bene e l’amore che doni ti ritorneranno. Questo vale anche per il male che si compie e per l’odio che si prova.”